giovedì 4 ottobre 2012

Da “Dei settantaquattro modi di chiamarti”, Anna Ruotolo (Raffaelli editore, 2012 – Pubblicazione Premio ClanDestino)



Primo. Cielo indiviso,
cielo nevicato all’improvviso
Terzo. Mani di bandiere
nell’aria
e nella nebbia
Quattordicesimo. La notte
più lunga passata
con te –
giro di rotte
e di pianeti
***
Ventiduesimo. Quando arriva mattina,
biglia nella mano.
Quand’è notte, biglia persa
nell’oscurità del letto
Quarantaquattresimo. Autostrada di venti
e di bandiere
***
Modi
(una montagna)
Mi manca il fiato. Scalatori. La corda è tesa, corre sui pendii.
Qualcuno sale, invoca l’aria. Si avvicina al fuoco e a Dio. Sono esseri speciali, crediamo. Esseri di nervi e di coraggio, qualunque forza li attragga.
Qualunque bene.
[…]
Una montagna è un uomo. Un uomo è una montagna.
Da lì viene. Dalla sua polvere e dalla sua roccia.
Poi l’uomo si abbassa: è una collina. Si accomoda alla terra,
un poco la tocca poi si ritira. È il passaggio della sua crescita
nei primi giorni, dall’inizio di tutto.
Poi si abbassa ancora: è un altipiano. Sfiora coi piedi
il fuoco e l’accensione della crosta. Si ritira ma se si lascia
per intero nel suo spazio sente che tutto è un battere dal cratere,
dal suono e dal caldo primordiale.
Poi l’uomo si appiana: è una pianura.
Ed è il giorno della discesa. Piano piano si livella alle cose dell’acqua
e alle cose dell’erba. Non sente lo sbalzo, finito è il gradino, il pendere
dal dislivello della nascita.
Quando un uomo nasce nella materia toccabile è una pianura
di stelle e di fiorite. E pesci e mostri marini.
E mari di giorno e mari di notte. Acqua di sopra e di sotto.
È infinita distesa.
Tu sei ancora una pianura. E una pianura come te è la più gagliarda,
perché sferzata dal vento e dal sole seccante.
E una pianura come te è la più bella.
Ma quando nell’uomo è innescato il prodigio e nasce, cresce, la crescita
è infinita, fossile, stratificazione di gigantesca materia.
Dalla pianura di nuovo fino al picco: questo è il piano.
Indietro. Dalla pianura alla vetta che tocca la fine del mondo per stare là
nel momento della grandissima salita, nello spazio tutto,
nel tempo che vive di eternità.
Ma quando l’uomo cresce per il suo ultimo salto è stratificazione d’aria leggera,
acqua che vacilla e gocciola pian piano. Perdita di peso. Trasparenza di pelle.
Fiero dimenticatore di parole, fiero lasciatore di pesi, di gelate invernali,
di conti, di parenti, di amori e affetti piccoli e terrestri.
La seconda montagna è la più perfetta. E la sua perfezione è la trasparenza,
l’invisibilità, il volo.
L’uomo, in principio, è una montagna.
L’uomo nato è una pianura.
L’uomo che ritorna è, ancora, una montagna.
Per salire, tu lo sai, diventi ogni ora più leggera. E questa salita è come la discesa.
Sali che non c’è spasimo e fiato corto. Sali che non ti si può più vedere.
Lasci la tua pianura. Cresci di altipiano in collina.
Di collina in cima.
E, se alzo gli occhi, mi manca il fiato.
***
(disordine)
L’ordine dei giorni.
Il disordine dell’inciampo, della parola che pronunci
[dopo dieci giorni
di silenzio e fiato rosso.
Il disordine dell’ora legale e lunghissima sera,
il disordine della tromba sul tetto,
il disordine del matto.
Il disordine della tua storia lanciata così,
il disordine del tuo corpo di bolla e del tuo cuore forte
che se fosse più forte lo direi felice.
Il disordine delle mani battute nella notte,
il disordine dei fuochi d’artificio,
il disordine dello scampato all’onda disastrosa,
il disordine del regalo nel giorno anonimo,
il disordine del gesto gratuito.
L’ordine delle stagioni.
Il disordine del caldo d’inverno,
il disordine del camino acceso a marzo.
Il disordine di tutto il cibo comprato, il disordine del libro lasciato in fretta.
Il disordine del tuo racconto nelle mani di qualcuno.
Il disordine del vento nel sereno.
Il disordine del venditore di frutta sotto la tua finestra.
Il disordine mondiale del primo dell’anno che dormi e ti perdi quasi,se non fosse che arriviamo in fila, rotta la lentezza della tua stanza,
messi i nostri piedi e le ginocchia sul tuo letto, obbligata a bereuna cosa frizzante, obbligata all’ultima fotografia di certezza.
L’ordine delle cose.

                        Il disordine e il tumulto del tuo sorriso.
***
Sessantasettesimo. Filo tremulo
e tenero soltanto
che cade solitario – un gesto raro –
discende, fa un giro nel giardino mio
un giro nel pollaio, ritorna nella terra.
Gesto santo
Settantatreesimo. Mistero
grandioso
di mattine e oceani
invisibili

Da Poetarum Silva Pubblicato il 28 settembre 2012 da 

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