Correvamo con la neve
in tasca per paura che svanisse, come un sogno appena sognato, tra bassi e
negozi ancora chiusi, inseguendo il nostro fiato gelato. Durante la notte si
era depositata a terra fra marciapiedi e strade, sui palazzi, come un miracolo.
Il cielo era marmo, bianco e compatto. Nessuno di noi aveva mai visto nevicare,
qualche volta si vedeva il cono innevato del Vesuvio, ma tra i vicoli del Centro
o della Sanità nessuno se la ricordava. Arrivati all’angolo tra via Forìa e i
Miracoli aspettavamo che suonasse la campanella per entrare a scuola. Ormai la
neve stava diventando ghiaccio sporco, nero. Raffaele Quattromani la appallottolò
per lanciarla contro qualsiasi persona o cosa capitasse a tiro. Il primo a
essere colpito fu il finestrino di un pullman alla fermata, poi Rosario fece
una palla grandissima e la lanciò verso me e Luigi, la palla mi sfiorò
all’altezza del braccio, Luigi invece si scansò e la palla di neve andò a
finire dritta sulla nuca di una signora che era appena uscita da messa, che ci
bestemmiò tutti i santi del paradiso.
“Guagliù e’ prete!!!” Arrivò
Pasquale A’ Briosc , con la sua solita giacca a vento bianco ghiaccio, quella
che la settimana prima, a carnevale, mentre ci tiravamo le uova per strada, ne
aveva fatta rimbalzare una senza che si rompesse; da allora quella giacca per
Pasquale era diventata una specie d’armatura. Ci indicò il cantiere abbandonato
sul marciapiede di fronte, dove c’era un mucchio di sampietrini coperti di
neve. A’Briosc e Quattromani con Rosario e Luigi, andarono a prenderne
qualcuno, stavo per seguirli anch’io quando incrociai lo sguardo di Loredana,
l’unica compagna di classe che giocava con noi maschi, fino ad allora anche lei
aveva lanciato palle a tutta forza. Il solo guardarla, gli occhi scuri e severi
che emergevano da un ciuffo di capelli che dal cappuccio di lana rosa arrivava
alle schiocche delle guance, mi fece passare la voglia di seguire gli altri. Non
mi disse niente. Non ce n’era bisogno.
Il primo dei nuovi
proiettili colpì un palo della luce. Fu Pasquale a lanciarlo, calatosi subito
nel ruolo di capobanda, la neve si disintegrò all’impatto mentre il sampietrino
rimbalzò sul lampione, facendolo vibrare, poi sbalzò, come quelle palle pazze
che usavamo per giocare da piccoli, contro il bidone dell’immondizia e la ringhiera
che circondava la statua di Padre Pio. Infine cadde a terra su una pozzanghera
gelata infrangendola, come un specchio rotto. Alcuni dei genitori che
accompagnavano i ragazzi più piccoli iniziarono a protestare, ma senza troppa
convinzione, temendo la reazione di qualcuno di noi. Poi passò la professoressa
Navarra senza fermarsi. Alcuni, quelli più timorosi, si nascosero dietro le
auto in sosta, altri continuarono il lancio senza preoccuparsi di niente. Quando
riemersi da dietro l’auto, alzai lo sguardo verso il cielo e vidi che cadeva dal cielo qualcosa. Stava nevicando
di nuovo, erano fiocchi larghi, leggeri e sembrava che non dovessero mai
posarsi a terra. Rimasi a guardarli incantato, per un attimo di troppo, quando
mi girai di nuovo verso i miei compagni, non la vidi arrivare, né sentii il
sibilo nell’aria e neanche l’impatto della pietra nascosta sotto la neve che mi
colpì tra lo zigomo e l’occhio. “Fra..Attento!” Mi urlò Loredana, quando però
ero già stato colpito. Barcollando vidi la pietra ricadere a terra con una scia
di nevischio e poi, in una successione vivida e allucinata, le facce dei miei
compagni tra il divertito e lo spaventato, Loredana che mi correva incontro,
poi delle bacche rosse che fiorivano dalla neve una dopo l‘altra, un liquido
caldo che mi scorreva dal viso sulle mani, poi il rosso profondo del sangue che
si estendeva sul bianco imperfetto della neve, poi più nulla.
2 commenti:
tra guainella e palle di neve, tra milo e basile. bella fra'.
Grazie! tra le fonti d'ispirazione aggiungerei il Frungillo di "Fanciulli sulla via maestra".
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