Essere seduto lì, perfetto, in
poltrona, senza più niente, neanche quel chiodo mistico conficcato nella tempia
che altri chiamano mal di testa, in un
coma alimentare, concentrato come un Buddha napoletano intorno alla propria pancia, punto archimedeo del nulla che sto diventando, via digestiva all’assoluto.
Il sottofondo della tv - il discorso del presidente, il circo gli acrobati, Alberto e Stephanie di monaco,
i clown, gli elefanti a festa, la nostra
vita - il vociare sempre più remoto dei parenti - generazioni accatastate in pochi metri quadri - e sapere finalmente che non c’è
altro, mai, neanche un baluginio di luci oltre la finestra e l’incalzare dei botti di fine
anno. Ma ora importa solo quest’istante di perfetta padronanza di sé pur
non padroneggiando niente, se non, un attimo prima, l’ultimo schiaccianoci
rimasto, un lasciarsi andare lentissimo
nell’odore di fritto delle madri, aggrapparsi per un istante alla legge di un
padre che si nasconde dietro un enigma di baffi fuori moda. Essere trasparente
a se stesso nel torpore che avanza dallo stomaco - in un bruciore di fondo che
nessun Maalox potrà sconfiggere - e risale come una lentissima marea fino a
inondare il cervello. Anche questo finire non ha più nessun valore, rimanere
per sempre riflesso sulla superficie lucida della guantiera dei dolci, nessun
prima nessun dopo solo un’origine che prende forma in uno sbuffo d’aria mal
camuffato, in una palpebra che cala sempre più come un piombo a coprire la
vista. Forse ritornare è solo questo digerire quel che non siamo stati, nient’altro, senza paura senza più
angoscia, ma una somma e una sottrazione che si azzerano. Buona fine, buon inizio. Un inizio e una fine
che coincidono, finalmente, in un ultimo rigurgito esofageo. Perfetto.
Nessun commento:
Posta un commento