Nel momento in cui anche l’ultimo
mobile fu portato via rimase solo l’alone
dei quadri sul bianco delle pareti. Perlustrata un’ultima volta la casa si
mostrò nel suo volto vero, livido, come il negativo di una vecchia foto. Ogni
cosa svanendo aveva lasciato solo la propria ombra, un ultimo spasmo di vita
remoto, un odore di grigio, un dolore impresso in un’impronta sul pavimento.
Forse aveva avuto e avrebbe ancora avuto le sembianze di una casa vuota il
mondo senza vita, quando scomparso anche l’ultimo uomo, la ruota dei giorni
avrebbe di nuovo assunto la trasparenza di un ghiaccio perenne, uno stare
immobile, uno scorrere lentissimo di ombre sulla lastra eterna della necessità,
come immagine riflesse nel vetro di questa finestra. Continuò ancora per qualche minuto a perlustrarla stanza dopo
stanza – poi non ci sarebbe mai stato più niente da spostare, da guardare - con
passo lento e circospetto, sollevando e riappoggiando i piedi sul pavimento con
estrema cautela, quasi a non voler lasciare nessuna impronta. Bisognava lasciar
incontaminato il luogo del crimine, il crimine di quella che era stata la sua
vita. Ora lui non poteva più incidere sugli eventi, poteva solo osservare con
il distacco di un perito o con lo sguardo allucinato di un testimone oculare. Ora
quella che era stata da sempre la sua casa non aspettava più nessuno, niente, se
non l’aria che gonfia l’intonaco del soffitto, un bolla di spazio
immobile, il pulviscolo che rotea pianissimo,
il mondo muto risucchiato nella crepa di un battiscopa.
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