Millimetri di
Milo
De Angelis – Einaudi, 1983 - è un libro su cui sono tornato decine di
volte a distanza di anni - la prima lettura risale a tredici anni fa, in
corrispondenza della pubblicazione di Biografia
sommaria - e che ha continuato a parlarmi in maniera sempre violenta e
dirompente. I primi corpo a corpo, concentrati nel giro di pochi giorni, furono
un’esperienza frustrante e dolorosa, avevo la sensazione di arrampicarmi su di
una parete ripidissima che non concedeva appigli. Anzi, ad ogni lettura,
sentivo solo lo scivolare sanguinoso delle dita sulla roccia delle parole, dei
versi, delle cose nominate in queste poesie; avvertivo il dolore mentale e
fisico di una lettura disperata ed enigmatica. I versi apparivano indecifrabili
e alieni, precipitati lì sulla pagina e dispostisi in una verticalità precisa e
assoluta, come se si fossero slacciati da un altrove incombente e minaccioso (La testa cade a piombo/ e si slaccia/ nel
pomeriggio strappato/ al pensiero) per conficcarsi nel foglio bianco nel
modo più lancinante e preciso possibile. Ad aumentare lo sgomento c’era la
nettezza di ogni andare a capo, necessario e secco come una rasoiata. Poi,
alcune settimane dopo la prima lettura, l’appiglio si è presentato, ma è stato
un appiglio vertiginoso e abissale: “In
noi giungerà l’universo/ quel silenzio frontale dove eravamo/ già stati”. In
questi versi riconoscevo e, a distanza di anni sempre più lo vedo chiaramente, una
sapienza antica e sconvolgente, la sapienza di una Grecia pre-classica (C’è una mano che inchioda/ i suoi grammi/
nel cortile vicino alla grecia), la sapienza del primo frammento del
pensiero occidentale, di Anassimandro (« Ἄναξίµανδρος....ἀρχήν....εἴρηκε τῶν ὄντων τὸ ἄπειρον....ἐξ ὧν δὲ ἡ γένεσίς ἐστι τοῖς οὖσι, καὶ τὴν φθορὰν εἰς ταῦτα γίνεσθαι κατὰ τὸ χρεὼν διδόναι γὰρ αὐτὰ δίκην καὶ τίσιν ἀλλήλοις τῆς ἀδικίας κατὰ τὴν τοῦ χρόνου τάξιν » « Anassimandro....ha detto.... che principio degli
esseri è l'infinito (ápeiron)....da dove infatti gli esseri hanno l'origine, lì hanno anche la distruzione
secondo necessità, poiché essi pagano l'uno all'altro la pena e l'espiazione
dell'ingiustizia secondo l'ordine del tempo. »). L’origine, l’ápeiron, il non-finito, il tutto avvolgente in cui ogni
ente ritorna perché vi è già stato, di cui parla Anassimandro, in De Angelis è l’universo, ciò che è raccolto in unità come l’ápeiron,
ma questa unità è quel silenzio frontale,
l’origine muta verso cui noi andiamo, contro il quale ogni ente finito si
frantuma necessariamente (κατὰ τὸ χρεὼν). In noi giungerà, e qui il giungerà ha il valore della necessità, l’universo come silenzio frontale, ossia giungerà
il nulla, da cui ogni cosa proviene (dove eravamo/già stati), di ogni ente (Così,/sollevandosi nel nulla, crescono/
soltanto alla radice.) e il nulla, quel
silenzio frontale, giungerà secondo l’ordine del tempo
(κατὰ τὴν τοῦ χρόνου τάξιν) (Giunge
luglio per i morti/ che sentono nell’assedio/ di ogni fiore/ una giustizia
remota.) e secondo una giustizia implacabile (γὰρ αὐτὰ δίκην καὶ τίσιν ἀλλήλοις τῆς ἀδικίας) (e ora il villaggio fa/ silenzio/
nella corte marziale.). Nelle
ventinove poesie di Millimetri c’è al tempo stesso la sapienza
originaria della nostra civiltà e la spaventosa contemporaneità dell’epoca in
cui delle cose non ne è più niente (Ora
c’è la disadorna/ e si compiono gli anni, a manciate). Ecco la poesia di Millimetri
è, o meglio, è stata, una teoria, una visione, lucida e allucinata, un
pensiero sul mondo e sulle cose e questo pensiero già da sempre è diventato
poesia, ossia ha attraversato una regione in cui le parole non sono solo mezzi
ma sono destino, sono le cose che dicono. E le parole di questo libro
dicono l’essenza dell’esser cosa, ossia che tutto è tremendo, perché tutto è
sacro, perché ogni singola cosa, ogni attimo, oscilla paurosamente tra l’essere
e il niente (Mentre nuotano/ a delfino o
si alzano verso il nulla). In questi versi le cose si presentano nella loro
gratuità, durezza e imperscrutabilità, senza il filtro di nessun racconto, di
nessuna biografia, di nessun dramma psicologico che le possa addomesticare (guardateli quando/ scavano questa gola:/ scendi,
pavimento.). La gola della voce poetica, offerta alla spaventosità del
nulla, non è altro che il luogo oggettivamente folle, perché folle e gioiosamente,
di una gioia lancinante e mozzafiato, tragica è la radice ultima di ogni
accadere (Nati sulla terra/ che rimane/
siamo stati quel giubilo mozzafiato/ appena le menti giunsero), del dire
poetico (e io parlo alla terra/ a una
candela;/ di te e di noi, di noi soli, creati.) il cui dettato, severo ed
estraneo, comanda di ricordare ogni cosa e per far ciò pretende un rigore
estremo, che è la suprema e unica forma di bellezza concessa (Noi fermiamo lì una guerra/ con navi serene
e gelide.), in cui ogni singola parola deve essere quella precisa parola e
non un’altra, perché se così non fosse, tutto, e noi cose tra le cose, crollerebbe,
prima del tempo dovuto, nel vortice dell’oblio definitivo (Ecco la pagina di quarzo/ nell’agenda, quando/ ogni uomo viene raso al
suolo/ e ricorda.). Nella pagina di
quarzo, nell’ora tragica dell’impatto dell’esistenza con il muro della
necessità, l’uomo non può scegliere ma è comunque giudicato, perché deve ascoltare
e ubbidire alla voce ancestrale che già da sempre gli parla, anzi la sua unica
libertà è nell’ubbidire. La sua libertà consiste nell’esser raso al suolo, nel decidere l’impossibile
adesione tragica al destino, alle parole che già da sempre lo hanno descritto, nominato,
a quel vedere che lo ha accecato (Se un
urlo ha visto/ la sua prima sfera/ con l’occhio estraneo dei naselli).
L’esser mortale è un’ubbidienza ad una sapienza antica ed enigmatica (Chi genera il tempo/ ha il volto arato e con
pazienza ripete/ che noi ubbidiamo.), ma cristallina nella sua spietata
disciplina, e in questa ubbidienza non c’è premio, non c’è salvezza, solo
silenzio che dice la sacralità - ossia, etimologicamente, qualcosa di sancito
una volta e per sempre - di ogni attimo, lo scontro vertiginoso tra l’ordine necessario
del cosmo (moscerini/ nella macchia di un
immenso/ vetro.) e l’arbitrarietà, a sua volta necessaria nella sua
gracilità, del singolo destino (voi
giungete/ menti colme di luce/ con il rombo di un’estrazione a sorte/ ogni
paradiso ha un capogiro/ di figli falciati e certi). È nello scontro tra il
singolo e l’ordine del mondo che va inteso il senso del titolo del libro; ciò
che rende radicalmente tragica l’esistenza dell’uomo è l’impossibilità di chiudere
il cerchio del destino, l’impossibilità del ritorno al principio (fino al nudo principio/ premuto sopra le
tempie). La chiusura del circolo per i mortali è un silenzio frontale, un niente in cui ci annientiamo. Nelle poesie di
De Angelis, il cerchio per i
mortali, a differenza che nel frammento anassimandreo, non è chiuso, ma rimane
tragicamente aperto di pochi millimetri, che necessariamente non potranno mai
essere colmati, ma solo evocati in quei millimetri di avvistamento e
avvicinamento alla visione finale che ci divorerà, che sono i versi di questo
libro. È la stessa lontananza abissale che proviamo quando tocchiamo qualcosa:
c’è un millimetro, materiale e mentale, che ci separa e quel millimetro è un
abisso di tempo e di spazio, è quell’esclusione decisiva che è il nostro esser
finiti (con una bocca/ in guerra e una
bocca perfetta, vicinissime/ al pane). Dove, in ultimo, anche la poesia se
è vera poesia, cioè destino dei mortali, non può saltare fuori dalla propria
ombra, non può percorrere quel millimetro che la separa dalla cosa ultima. La
morte ha la parola definitiva e quella parola non potrà mai essere nostra (La mela/ è morta.).
Francesco Filia
6 commenti:
spero venga letto, per quello che posso, lo diffondo. Non c'è altro d'aggiungere.
Questo riferimento alla sapienza greca è capace di apparire moderno, perché nopn si fossilizza, né replica modi consueti di poetare. Grazie!
Giuseppe grazie a te per l'attenzione!
Complimenti per la tua lettura di Millimetri. Mi pare s'affacci dalla stessa parete di quei versi, sospesi su ogni abisso capace di restituirci persino alla vita. Carmelo Pistillo
Grazie Carmelo, l'idea delle note era appunto anche quella di restituire l'abissalità e la necessità del dettato poetico di Millimetri.
una passione questo autore...grazie
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