lunedì 21 dicembre 2009

In rete il primo numero de La Libellula

Letteratura come politica
Francesco Muzzioli, Letteratura e politica, tra valore simbolico e produttività della contraddizione (pp. 3-9)

Paolo Patuelli, La solitudine del lettore. Alla ricerca della parola perduta (pp. 10-16)
Luca Lenzini, L’appuntamento (pp. 17-24)
Erminia Passannanti, Fortini e la traduzione poetica. Verso l’altro: Da Traducendo Brecht alla raccolta Il ladro di ciliegie ed altre versioni di poesia (pp. 25-34)
Clodina Gubbiotti, La poesia novissima, l’informale e il futurismo: Note per un raffronto (pp. 35-52)
Vincenzo Frungillo, Dal corpo esemplare al corpo nero. Eredità classiche e scadenze mito-biologiche nella poesia di Elio Pagliarani (pp. 53-64)
Vincenzo Bagnoli, Poesia per il presente (pp. 65-67)
Bart Van den Bossche, Epic & Ethics. Il NIE e le responsabilità della letteratura (pp. 68-76)
Alessia Risi, Tu sei lei: una chiamata all’impegno politico (pp. 77-86)
Giuliana Adamo, Letteratura ed impegno: l’eredità sciasciana nella narrativa storica di Maria Attanasio (pp. 87-94)
Barry Ryan, Impegno and intertextuality: Renata Viganò’s Appropriation of Dante in L’Agnese va a morire (pp. 95-105)
Gianluca Cinelli, L’eredità di Nuto Revelli (pp. 106-118)
Barbara Pezzotti, Massimo Carlotto e Marcello Fois: la narrativa d’indagine come discorso politico (pp. 119-130)
Rosetta Giuliani Caponetto, Ennio Flaiano’s story on how ‘To Kill Time’(pp. 131-140)
Maria Rizzarelli, «Scegliendo per sempre la vita, la gioventù» Pasolini, Elsa Morante e il ’68 (pp. 141-153)
Stefania Rimini, “In tempo reale”: la rivoluzione al presente del teatro di Ascanio Celestini (pp. 154-162)
Barnaba Maj, La scrittura come traccia creaturale: Terra matta di Vincenzo Rabito (pp. 163-168)
Salvo Torre, La produzione intellettuale è un’attività scomoda. Culture, subalternità e dominio nella società italiana (pp. 169-173)
La Libellula Poesia:
Alda Merini, Se il sole si rompe, una poesia (già) inedita (p. 175)
Stefania Licciardello, Tre poesie (p. 176)
Vincenzo Frungillo, Finali di Storia sott’acqua e Sonetti da Terre Straniere (pp. 178-184)
Marco Giovenale, Quattro malatini (p. 185-186)

www.lalibellulaitalianistica.it

giovedì 17 dicembre 2009

L'avvocato del diavolo


L’avvocato del diavolo



Tartaglia,
riduce la lingua a pezzi,
la fraziona, non riesce a vederla finita
una frase che sia una
e ricomincia d’accapo
la sintassi della sua genìa
ci riprova tra la gente che s’accalca
melliflua sostanza della Storia,
ci riprova ma tar-ta-glia.
Così anche la piazza
si scompone,
si riduce di scala
e si moltiplica come in quadro
neo cubista, ogni singola faccia
che osserva diventa infinita
diventa piano piano massa,
folla che assiste al comizio
del Signore padrone, un biscione
che s’arrampica sulle guglie cerulee della chiesa
lì dove si celebrava un mese prima
il passaggio terrestre dell’uomo fondatore
dell’Italia risorta dopo la guerra.*


*-in nota, per chi ricorda, nella stessa piazza
si salutava l’uomo che ha nel nome
e nei fatti unito la nostra storia
allo spettacolo infinito d’America
Mike Buongiorno, fondatore del biscione-


avrà pensato tartaglia
di restituire al Signore Padrone
ridotta in scala quella chiesa
nella piazza meneghina
per sentire sulla faccia di gomma
se una sola di quelle visioni è vera.
Tutti avevano lo stesso sorriso
stampato e si presentavano
col nome Silvio.
Avrà pensato tartaglia.
“colpisco quello di centro”
quello dove si concentra il consenso”
poi caricando il tiro
come campione di pallamano
ha lanciato la riproduzione in scala
del duomo di Milano
e buhm…un solo tonfo
ha sfaldato la tela cubista.
Si è rivoltata la folla
sul novello bombarolo
tutta, ma proprio tutta,
compresa la redazione de La Repubblica
che fino alla settimana prima
seguiva il destino dei cervelli in fuga
e questo sotto teca
non l’avevano mica ammesso
al catechismo della chiesa meneghina-
e buhm la faccia si squaglia sotto
il tiro del matto, mio fratello,
avvocato del diavolo,
e buhm si rivede infinite volte
come in quadro cubista
la sua mano che tira, che tira, che tira,
e buhm tartaglia, tartagli la vita…
mia precaria che non conosce
una frase che sia una
e si staglia l’immagine della coda,
di un biscione che arretra
dalle guglie della chiesa
quando stava per lambire
i piedi pudichi della madonnina.
Rivedendo la scena al ralenti
si leggono le labbra del balbuziente
che lancia sulla faccia del Signore
la riproduzione della chiesa,
una sola frase gli è uscita buona
nella sua vita, sparata d’un sol fiato,
senza timore, un vero e proprio urlo:
“ma vaffanculo!”