venerdì 14 febbraio 2014

Ti amo Napoli!


Ti amo Napoli! Ti amo per il tuo cielo il tuo mare per il Vesuvio per la pizza il mandolino i panni stesi e per tutte le cose che tu ben sai, ma ti amo anche per il tuo I love Naples e non I love NY e per lo skyline del centro direzionale  n’cop a munnezz che ti fa  città antica e  moderna, Europa senza Arabia e Arabia senza Europa, ti amo perché “tutt quant amma campà”, perché “salimm e scennimm pa’ uallera ca tenimm”, per i vicoli e gli scorci, per la giornata di sole ma pure pe’ quann chiove, ti amo perché con te mi sento ferito a morte come dudù ‘ncopp Posillipo o come il mare che pur iss s’è rutt o cazz e non ti bagna più, ti amo per la metro che ci invidia tutto il mondo e mi fa andare dove cazzo mi pare, pur affancul, ti amo per  il pè pè dei motorini che non si fermano mai, per i chitemmuort che volano come coltelli, per i tuoi “stai avenn cu mè..” e “ a te t sacc’ a ro ta fai”, per le tue donne con la coda di cavallo e i muss tant e gli orecchini d’oro a cerchio, ma anche per le perete di Chiaia e del Vomero, o per i chiattilli che ascoltano gli Squallor per sentirsi più napoletani e che scendono Giùnapoli con il casco e il copri vestiti impermeabilizzati e manc loro si fermano mai. Ti amo per il tuo ventre, per la retorica del paradiso abitato da diavoli, per i muri scrostati e il tufo a vista, per le mani sulla città, per quelli che ritornano ammalati di nostalgia e per quelli che “fuitevenn”, per quell’orgoglio meridionale che non ho mai capito dove si appoggia, per il vittimismo e per “a’ fatica ciata dà”, ti amo Napoli perché a Napoli sei mesi è Natale e sei mesi è a’ Staggione, ti amo “Napoli campione” tutta Maronne  e Maradona, ti amo per i tuoi scippi, per i tuoi morti ammazzati, perché “a nuttata nun pass mai”, ti amo perché sei sempre uguale da duemila anni e a finale ce la fai sempre, perché senza di te non sarei quel che sono, ti amo perché sei “Napoli nel mondo” e viaggiare significa trovarti sempre come una maledizione e infatti Napoli, Napoli nobilissima, Napoli colera, Napoli milionaria, Napoli merda, Napoli core mio,  te lo dico una volta e per tutte, ti amo così tanto che quasi quasi  t’ sputass n’faccia!

Francesco Filia

sabato 8 febbraio 2014

La consolazione utopistica del punto zero

"E' anche facile -e forse utile- denunciare il carattere illusorio di questa ricerca del punto zero. Non illusorio tuttavia, ma immaginario, quasi nel senso che i matematici danno a questa parola: immaginario è il riferimento a un uomo senza mito, come è immaginario riferirsi a quest'uomo spossessato di se stesso, libero da ogni determinazione, privato di ogni valore e alienato al punto da essere nient'altro che la coscienza agente di questo nulla, l'uomo essenziale del punto zero, di cui certe analisi di Marx ci hanno offerto il modello teorico, in rapporto al quale il proletariato moderno si scopre, si definisce e si afferma, anche se non risponde realmente a tale schema. E dunque in qualche sorta di indigenza che il mondo della tecnica trova la sua verità e la sua grande virtù -intellettuale- non è di arricchirci, ma di spogliarci. Mondo barbaro, senza rispetto, senza umanità. Ci svuota atrocemente di tutto ciò che amiamo e vogliamo essere, ci caccia dalla felicità dei nostri rifugi, dalla finzione delle nostra verità, distrugge ciò a cui apparteniamo e a volte distrugge se stesso. Terribile prova. Ma questo contrasto proprio perché ci lascia spogli di tutto, salvo la forza, ci offre anche la possibilità presente in ogni rottura: quando si è costretti a rinunciare a sé, bisogna morire o incominciare; morire per ricominciare. Questo sarebbe il senso del compito che rappresenta il mito dell'uomo senza mito: la speranza, l'angoscia e l'illusione dell'uomo al punto zero". (Murice Blanchot)IL grado zero della scrittura immagina lo schiacciarsi dell'elemento simbolico su quello naturale o di quello naturale sul simbolico, perché un paradigma delle coincidenza delle due sfere dell'umano prevede l'indistizione o anche la depressione del dire. Questa poetica è valida come monito, come registrazione di uno stato, come paradigma, e, trattandosi di scrittura o di poesia, prevede una retorica. Equivoco da evitare è l'interpretazione del grado zero con l'origine. Anche questo è un mito, perché a noi l'origine non è data. Si rischia di fare scrittura ingenua più che veritiera.