lunedì 25 gennaio 2010

Da Absolute Poetry

Ogni cinque bracciate di Vincenzo Frungillo. Appunti per la nuova epica italiana (3/3)

postato il 2010-01-22 13:26:13
da Valerio Cuccaroni





Chiudo i miei Appunti per la nuova epica italiana, tentativo di allargare alla poesia italiana contemporanea il discorso aperto sulla narrativa dal saggio New Italian Epic di Wu Ming, postando una recensione dedicata al poemetto in ottave Ogni cinque bracciate di Vincenzo Frungillo, pubblicata su «Poesia» n. 245, gennaio 2010.

Cfr. Appunti 1/3 e Appunti 2/3

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Vincenzo Frungillo, Ogni cinque bracciate, Le Lettere, Firenze, 2009, pp. 130, 20 €

L’epica affonda le sue radici nella storia, una storia che si fa mito di fondazione. Dall’Iliade all’Eneide, dalla Chanson de Roland alla Gerusalemme liberata. Ogni popolo ha il suo grande poema epico. O meglio, lo aveva. Perché la modernità, che dal Romanticismo in poi ha identificato la poesia con la lirica, ha privilegiato prima il romanzo poi il cinema per i suoi slanci epici. È per questo che, presentando il poema in ottave di Vincenzo Frungillo Ogni cinque bracciate nel risvolto di copertina, Andrea Cortellessa esordisce domandadosi «Cosa si può immaginare di più inattuale, oggi, di un poema epico in ottave?». Cinque ottave per ogni sequenza, cinque sequenze per ogni canto, per un totale di cinque canti, più un proemio e un epilogo.
Tuttavia l’inattualità è solo apparente: innanzitutto perché, come nota giustamente lo stesso Cortellessa, «nella generazione di Frungillo – magari guardando a esempi ormai remoti come quelli di Pagliarani della Ragazza Carla e della Ballata di Rudi – significativamente si assiste a un rinnovato anelito a raccontare storie, anche in poesia, che una buona volta superino lo spazio ristretto della soffocante “cameretta lirica”», ma soprattutto perché alla tensione verso l’ordine e la misura si contrappone una dismisura tutta moderna. Dismisura evidente, a livello metrico, nella prima sequenza del quarto canto, emblematicamente intitolata La caduta, la quale non è in ottave; nella prima sequenza del canto sucessivo, incisa da spazi bianchi e puntini di sospensione; nei molti versi ipermetri e nelle frequenti rime impefette, che ora prendono la forma di assonanze («braccia / gabbia»; «lenta / allena»), ora di rime per l’occhio («parabola / gola»; «vittoria / euforia / gloria»).
La dialettica fra misura e dismisura, armonia e disarmonia è invero la cifra distintiva di tutto il poema, in cui è narrata la storia della squadra femminile di nuoto della DDR, che alle Olimpiadi di Mosca del 1980, come ricorda Frungillo, «sbalordì il mondo per i record inarrivabili e per la giovane età delle loro atlete», i cui corpi «avevano qualcosa di mitologico; erano una sintesi tra la forza maschile e l’armonia femminile; erano il volto del comunismo nel mondo, erano delle aliene».
Lungi dall’essere l’apologia delle loro imprese, Ogni cinque bracciate è, per così dire, il referto del mito, perché «il loro racconto è segnato direttamente sul corpo» e quei corpi furono drogati perché fossero imbattibili.
Alle trasformazioni del “polimorfo” Ulisse, provocate dall’intervento divino di Atena, cantate da Omero, Frungillo sostituisce le mutazioni chimiche, prodotte dal nandrolone somministrato alle nuotatrici dal dott. Starkino, soprannome affibbiato da Frungillo al vero Sportführer (“guida sportiva”) del regime, Manfred Ewald. In Ogni cinque bracciate possiamo rintracciare il mito di fondazione della nostra civiltà, costituita da corpi-chimici, alieni, governati attraverso la bio-politica da un Potere di cui la Repubblica Democratica Tedesca è stata solo una delle tante maschere.
«Il secolo l’ho costretto in una provetta di vetro. / Chi può biasimarmi, se il mio gesto / è stato lo slancio di chi resta al centro, / immobile a fissare il corpo trasformato dall’epo. / So del tempo, del suo infallibile metro, / e in fondo mi vanto di questo; / di un’effimera vittoria sulla Storia, / della soluzione chimica della memoria»: questi versi, che veicolano idee attribuibili al dott. Starkino, non sono solo centrali per comprendere l’intero poema, ma suonano anche come una dichiarazione di poetica. Frungillo stesso, sicuramente conscio del tempo (moderno) e del suo infallibile metro (anti-epico), con le ottave di Ogni cinque bracciate, vere e proprie soluzioni chimiche della memoria, ha ottenuto un’effimera vittoria sulla Storia: una vittoria tanto più importante, quanto più riesce a far emergere, attraverso la metrica trasformata dall’epos, un micro-evento, un fossile dimenticato e far acquisire a questo fossile il valore di un’allegoria epocale.

Valerio Cuccaroni

lunedì 11 gennaio 2010

Alcuni "Sonetti da terre straniere" da La Libellula

Da La Libellula di Vincenzo Frungillo
pensando ai recenti scontri di Rosarno

Emigrazioni. Milano.

Escono dai sediolini dei loro viaggi
come tanti nervi vivi dai denti guasti,
portano una piega scomposta della testa
come ruga perenne della loro stanchezza

è la loro ed è la piega straniera
di chi consce lo spostamento,
il bivio mortale da cui nasce ogni accento,
loro annotano il vento,

perché è impossibile fermarlo,
tenerlo dentro,
lo spifferano, piuttosto, in uno sbuffo di gelo,

nello spazio d’un volto,
scomparendo, ogni giorno, all’alba, di nuovo,
nello sbadiglio del mondo.

V.
Risorgimento. Magenta.

Sono Solo Sonno. Si legge sulla centralina elettrica
della stazione di Magenta e in quella scritta
di vernice nera l’energia cinetica
interrompe la sua regola, ritrova la sua etica.

Allora tutto si ferma. E la battaglia,
ricordata con una targa commemorativa
ritorna nella nebbia, così anche le grida.
L’Italia risorge questa mattina dalla poesia

d’un adolescente che finisce l’impresa
iniziata più d’un secolo prima;
resistere alla voce straniera, all’incondizionata resa

del cupio dissolvi della nuova politica,
descrivere la provincia che fagocita
e il fagocitare che fa dell’Italia provincia.

VI.
La città del popolo. Völklingen

Ora vivo dove riposano gli elefanti
lì, dietro le ciminiere, tra le balle di ferro
puoi trovare il loro cimitero,
hanno la gabbia toracica ancora gonfia nel fiato.

Ci sono carrelli che salgono piano,
portano carbonfossile al cielo,
dal loro odore si sente quant’è nero.
Un operaio mi viene incontro, mi stringe la mano,

dice che è caduto lavorando-
i fantasmi hanno le dita molli del dubbio
come di chi saluta senza volerlo-

lui di questo posto è il guardiano,
controlla che nessuno tocchi l’avorio,
quel poco rimasto, dice che adesso solo io posso vederlo.

VII.
L’onda anomala

Lasci l’istinto minimale,
le cose poco serie, i refusi sul giornale,
a chi ancora crede in una correzione
e fissi l’orizzonte,

la sua pancia gravida di onde.
Resti in piedi nella secca, una sogliola ti fissa,
resta muta la natura, tutt’intorno si ritira
con l’onda di risacca che respira.

“Torna! Torna!”
Grida qualcuno dalla riva,
ma tu sai che la marea arriva,

che è l’ultima tua sfida
risalire in superficie,
ritrovare volume, riassaporare la fine.