martedì 23 novembre 2010

23 Novembre 1980


Abbiamo visto il palmo delle mani sporco di ruggine
dopo aver percorso le scale a due a due
aggrappandoci alla ringhiera quasi divelta saltando
gli scalini spaccati. Dopo nelle piazze e nei parcheggi
abbiamo sentito il gelo riempire il vuoto e il silenzio
il mormorio di coperte avvolte sulle spalle
dei falò sulle scalinate di chiese e fontane.
Non avevamo capito che il terremoto era appena
iniziato, che avremmo dovuto aggirarci in un fragore
di tubi Innocenti e siringhe di cemento armato
di lavori in corso e doppi turni. Checco o’ cecov
mi chiamavamo alle elementari, per gli occhiali,
alcuni scherzavano altri picchiavano, io
mi difendevo a denti e graffi a calci nelle palle.
Ci prendevamo a mazzate all’uscita della scuola
rubavamo qualcosa nei negozi evitando i calci
in culo e i chitemmuort, tornavamo urlando
o tacendo mentre nei vicoli teste affioravano
dai muretti di contenimento, come alieni, armati
di lacci emostatici e siringhe. Altri sparavano
qualcuno moriva qualcuno si arricchiva.
Abbiamo imparato di nuovo a contare da zero
ad avere un nuovo prima e dopo come fosse
un’altra nascita di cristo come lo era stato prima
il colera o la guerra, per chi se la ricordava. Ma
da allora, veramente, dalle sette e trentaquattro di quella
domenica sera, lo giuro, io, non ci ho capito più niente.

lunedì 8 novembre 2010


La divisione della gioia

di Italo Testa



In un’atmosfera conturbante, sospesa tra le note dissonanti dei Joy Division e la metafisica silenziosa dei quadri di Hopper, questa raccolta si sviluppa come un poema d’amore di lacerante intensità, in cui voci maschili e femminili si richiamano, si scontrano, si cancellano, si confondono.
Un dialogo incessante, in cui si alternano tenerezza e abbandono, rapimento e paura della perdita, e che si dirama come il delta del fiume su cui i personaggi si muovono, si lasciano, si ritrovano, tra sfondi naturali e paesaggi post-industriali che ricordano il Deserto rosso di Antonioni.
Dialogo teatrale o romanzo in versi? A qualunque luogo appartenga, questo libro batte e ribatte senza sosta, con un ritmo fermo e implacabile, la materia dei giorni, la storia di uno e l’ansia di tutti, il canto che silenziosamente accompagna la divisione del dolore e della gioia.







estratti dal testo


da: Cantieri (sezione I)


romea, mattina

qui ho appreso la luce sciolta sugli scafi al mattino
il bordo incandescente e l'anima buia dei rami,

qui ho imparato a dissipare gli occhi, la bocca, il fiato,
a calarmi all'alba dentro a un vestito di brina,

qui ho vegliato sui fossi le canne inanimate nel bianco
la frontalità ignara di pioppi eretti come ceri,

qui ho imparato a distinguere nel manto uniforme del giorno
l'intonaco di case insaponate nella nebbia,

qui ho perduto nell'acqua il tuo pegno raschiato dal cuore
e in un pomeriggio ignaro ho confuso i corpi e i volti,

qui ho consumato gli occhi sul volto lucente del mondo,
qui sull'argine alto mi sono inumato nel freddo.

(da: Cantieri)


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Da: La divisione della gioia (sezione II)

Un luogo qualunque


…o nella luce artificiale
di un neon credere che la notte
non sia notte, il verde non scintilli
immune da ogni nostro sguardo,
le merci esposte nel silenzio
di una vetrina siano lo sfondo
del nostro tranquillo sovrastare,
del dominio saldo della specie:


e quando nelle insegne luminose
che ritmano i grani dell’asfalto
hai visto il segno certo, il richiamo
ribattuto da ogni nostro passo,

o in una vetrina, controluce
hai scorto sul ripiano le pose,
le ossa spigolose del suo corpo
segnarti senza più un riparo,

come il giorno che stesa sul letto
ti sei girata, tranquilla, e hai visto
le grate che spartivano il vetro,
e alzandoti di scatto hai detto
che non sarebbe successo niente,
che tutto era ancora intatto
e mentre ti guardavo in silenzio
sei sparita nell’angolo cieco:

allora ho visto che nulla torna,
che la fragilità ci insidia
dall’interno, dentro le giunture,
s’insinua nelle vene, riveste
la piega opaca dei discorsi,

allora, chiamandoti in disparte
a fianco del letto avrei atteso,
la pelle a toccare il marmo freddo,
che tutto fosse tornato a posto,
il braccio nascosto tra le gambe,
la luce sulle mie cosce nude,
la mano a coprirti il pube:»


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da: Delta (sezione III)


lo stacco

saltavo, ancora
inarcavo la schiena
d’un soffio mi levavo
sull’asta tesa
rovesciando la testa
nella luce affondavo
fermo a mezz’aria
con un colpo di ciglia
recidevo i contorni
la pista, i blocchi
dallo sfondo acceso
riversato sugli occhi
nell’aria tersa
eri ferma, tra tanti
sulla terra battuta
le tue cosce lucenti
e tornite dal sole
nel mattino di vita
che il mondo ci offriva
tu mi guardavi scendere
cadere sul tappeto
riaprire gli occhi
volgerli in alto, al cielo
senza vedere niente
per un momento
poi, a poco a poco i tigli
gli spalti in penombra
i tuoi fermagli
brillanti nei capelli
gli altri alle tue spalle
così lontani
dove eravate stati
in quell’istante cieco
dopo lo stacco
e la torsione in volo
dove sarete quando
cadrò senza arrestarmi
sul telo verde
dove mi attenderai
con il tuo sguardo aperto
saprai aspettarmi?




Note sintetiche al volume


* Pagine 88
* Prezzo 9.50
* Isbn 9788875801052
* Collana Collana Nuova poetica
* Collocazione Poesia


http://www.transeuropaedizioni.it/?Page=volume.php&id_collana=22

Italo Testa
Italo Testa è poeta, saggista e traduttore. Ha pubblicato la silloge Luce d’ailanto (in Decimo quaderno di poesia italiana, Marcos y Marcos, 2010), l’e-book Non ero io (gammm.org, 2010), il concept canti ostili (Lietocolle, 2007), la raccolta Biometrie (Manni, 2005) e il poemetto Gli aspri inganni (Lietocolle, 2004).
Sue poesie sono state tradotte in inglese, spagnolo e tedesco. Autore di saggi sul pensiero contemporaneo, è co-direttore della rivista di poesia, arti e scritture «L’Ulisse».

venerdì 5 novembre 2010

Nell’esattezza di una meraviglia


"Se il sentiero tra vegetazione e desideri ti porta/ dove non sai, nominare/ non riesci la pianta della luce di lei// o se il filo dall’abito da sposa/ rinvieni sul lago del sagrato per caso o meraviglia/ senza biancore di freddo/ (piove lo stesso la neve nell’anima...". La poesia di Raffaele Piazza è attraversata da una tensione erotica inesauribile, che assume le forme di un verso lirico, liquido e sensuale, ma di una sensualità controllata nel dettato e che si trasfigura in immagini d’amore e stupore, precise e, al tempo stesso, delicate come un fiore appena sbocciato o come le altre vite vegetali presenti in molti dei versi del poeta, emblemi di quella meraviglia che da sempre accompagna lo stare al mondo dell’uomo.
Del Sognato - l’ultimo libro di Piazza, edizioni La vita felice, 2009, con nota critica di Gabriela Fantato - porta al suo nucleo originario la fonte d’ispirazione che da anni contraddistingue i testi dell’autore e, questo nucleo, è rappresentato dal desiderio, che è la sorgente e la materia dei sogni, il sognato per l’appunto. La poesia dà parola a quanto di più profondo e inconscio c’è nel cuore di ogni uomo e sotto questo aspetto la poesia di Piazza appare nella sua unicità e bellezza perché attinge al sacro, presente come apertura originaria in ognuno di noi, basandosi su una vocazione squisitamente lirica, nella sua accezione più pura e alta.
Il libro è diviso in due sezioni, la prima Mediterranea, che, come si evince dal titolo, è pervasa da un lucore meridiano e solare, dove, come sottolinea la Fantato nella sua nota critica, “ è ancora possibile cercare e talvolta, forse, incontrare nei testi di questo poeta l’espressione della gioia “semplice” del corpo esposto al sole, alla bellezza del paesaggio”, ma che in controluce fa emergere una malinconia lunare, quasi che anche la dimora mediterranea fosse vissuta come un esilio, come appare evidente dalla bellissima Messaggio dall’esilio (Tornano, giocano con parole di abete/ e rondini gli amici: distanze abbreviate/ di treno se ti aveva portata e non il tuo/ pensiero nell’intessersi il ritmo/ del Mediterraneo a voci fuori campo:/ vita ritrovata in esili stelle in lune/ aranciate senza profeti sull’ordine/ dei tuoi petali disposti ad angolo dell’anima a fare scudo all’avvicinarsi/ di atomi di giorni su questa carta...).
L’altra sezione è quella che dà il titolo all’opera e qui sembra che il lettore, seguendo la parola del poeta, si possa abbandonare definitivamente al naufragio delle sensazioni, quasi come un Odisseo il cui destino è, però, nell’eterno presente della contemporaneità, quello di perdersi in un oceano di camere e pareti, di Internet, molto presente e grande intuizione di queste poesie, e dell’inconscio che ci parla per apparizioni, miraggi, enigmi, ninfe e fate, queste ultime riassunte dal nome di Alessia (Ora dietro al nido delle/ ore dorme/ nell’esattezza di una meraviglia/ Alessia...), quasi una novella Calipso o sirena che avvince a sé l’io lirico del poeta e, con la malia di parole sussurrate e di gesti accennati, appare e scompare dal mare immateriale della rete. In questo viaggio in un mare invisibile l’unica possibile Itaca per il poeta, come mostrano la prima e l’ultima poesia del libro, è il tavolo da lavoro, da cui si parte scrivendo e a cui si ritorna sempre, dimora che ci attende ma anche luogo dei nostri fantasmi da combattere e nominare, "Aprile in verde esce di scena ci lascia/ il tavolo di lavoro con le copie dell’anima/ una mela addentata a dare una gioia rimasta/ nel trasmigrare dei pensieri".

Francesco Filia