giovedì 24 novembre 2011

Il privato, l’adolescenza infinita e il monetarismo







eri bella come il pareggio di bilancio e la scuola di chicago
come il lining dello slam eri un quilt stretto e scioccavi l’outer
dicevi pazzesco e chiedevi conferma delle marche
eri monetarista e antinflazionista
per nulla persuasa dal pensiero sociale e dalla spesa

io mangiavo wurstel crudi su una fetta di pane raffermo come una bestia
ma dentro di me c’era lo smooth verde e la sommatoria dei natali

tu sapevi governare il conflitto sociale e anticipavi il prezzo di mercato
il prezzo è sempre giusto dicevi, cioè non è mai sbagliato

e io chiedevo l’aiuto dello stato



Sergio Soda Star

lunedì 14 novembre 2011

Il vortice dell'essere. Recensione a "La fisica delle cose"




Dieci riletture da Lucrezio, questo è il sottotitolo dell’antologia La fisica delle cose, a cura di Gianfranco Alfano, Giulio Perrone editore, 2011. Le riletture sono state affidate a dieci poeti contemporanei, tutti nati tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta: Andrea Inglese, Letizia Leone, Laura Pugno, Giulio Marzaioli, Vincenzo Frungillo, Andrea Raos, Vito M. Bonito, Sara Davidovics, Giovanna Marmo ed Elisa Biagini.
Perché Lucrezio? Come spiega il curatore nella bella e interessantissima nota introduttiva, “per realizzare questo piccolo libro di omaggio a colui che, come ha scritto Milo De Angelis, ha fissato il suo sguardo sul vortice perenne.” Lucrezio è colui il quale, sulla scorta della filosofia greca, ha posto la poesia in dialogo essenziale con il pensiero, ossia con quell’interrogarsi originario sul principio di tutte le cose e sul rapporto che questo principio ha con la vita dei mortali. Forse il fascino del poema lucreziano è dato dalla potenza con cui i versi si mettono in rapporto con l’inquietudine originaria che conduce l’uomo, con le angosce che accompagnano il suo stare al mondo e che solo il pensiero e, in questo caso, il pensiero poetante può curare o lenire. L’inattualità, nel senso nietzschiano, di Lucrezio, ossia di porre domande che sono al fondo dei nostri interrogativi, ma che il corso ordinario dell’esistenza copre, ci parla, parla a poeti del ventunesimo secolo, che in maniera diversa approdano al De rerum natura e ne traggono frammenti di luce da declinare, oltre che secondo le personali poetiche, anche secondo le inquietudini della nostra epoca. L’ipotesi che azzardo su quest’aspetto è che da un lato Lucrezio permette un accesso al numinoso, ovvero alla percezione del divino come qualcosa di incomprensibile, estraneo, radicalmente diverso e superiore, non definibile razionalmente, e, dall’altro, sottolineando il vortice perenne della natura, affonda in una ferita aperta della nostra contemporaneità, ossia come pensare il divenire, il procedere incessante delle cose, la loro “liquidità” per riprendere la suggestione del curatore nella sua prefazione, la distruzione che sempre incombe su di noi. Tale dilemma si è fatto ancor più pressante da quando gli atomi da ipotesi mentale sono diventati ciò che può causare con la loro divisibilità la devastazione più immane, culmine estremo di quella manipolazione tecnica di tutta la realtà, che rende tutto trasformabile e quindi essenzialmente transitorio, istantaneo come i bits informatici. Per quest’ultimo aspetto si vedano, in particolare, i testi di Inglese, ma non solo, che analizzano il movimento della merce, anche umana, e le informazioni ad essa legate come l’elemento atomico della società contemporanea, che ha la sua essenza nel trasformarsi e nel muoversi incessantemente. Per quel che riguarda la prima ipotesi potremmo aggiungere che, se il rapporto con il numinoso apre la dimensione del sacro, per dirla con Rudolf Otto, ripensare poeticamente Lucrezio, poeta che cerca sulla scorta di Epicuro di liberare gli uomini dalla paura degli dèi e di aprire una dimensione del sacro come immanenza radicale, dà la possibilità di accedere a quest’esperienza originaria da un’epoca, la nostra, in cui gli dèi della tradizione sono fuggiti e i nuovi hanno già da tempo tradito le attese mostrandosi con il loro volto luciferino e di declinare tale esperienza del divino e del numinoso, non in senso religioso o mistico ma in senso poetico filosofico ossia di autentica ricerca (sképsis) razionale sull’origine delle cose, senza scorciatoie misticheggianti, ma neanche senza la rinuncia allo stupore ancestrale che appartiene all’uomo e che la civiltà della tecnica sembra aver rimosso. Questo, al fondo, è il polo magnetico che, in maniera diversamente consapevole, attrae tutti gli autori del libro, ad esempio permette di ripensare l’evidenza dei fenomeni e sperimentare l’enigma del percepire nei testi di Giovanna Marmo (Quando la mano/ schiaccia l’occhio// da sotto// tutte le cose/ mi guardano.// Da sotto.); il fuoco in rapporto al vuoto in Laura Pugno (il movimento del calore ora più denso/ ora il vuoto mescolato al fuoco/ o tutto si condensa e non è luce); il rapporto tra il caos originario e l’ordine transitorio del mondo nei testi di Letizia Leone (Tu che attraverserai il giorno in un granello.// Qualcosa non muta nella catastrofe/ ignota. Un solido nudo/ resistente all’erosione interna.); o la radice della phoné e della graphé in Sara Davidovics (ed iam cui rum dia rum/ li aint et am is tia); l’individualità in rapporto al tutto e all’eterno in Andrea Raos (Unire eterno a mortale,/ pensare che possano insieme sentire, patirsi l’un l’altro,/ è devianza.); la morte e il nulla nelle poesie di Vito M. Bonito (arrivare a domani/ è niente// foscula anime animulae/ nihil nihil/ freddissimo nihil); i limiti dell’argomentare in rapporto all’origine dei fenomeni in Giulio Marzaioli (essendo, insomma, evidente che le particelle di ciascun corpo sono prodotte dalla natura e non dalla mano di uno soltanto, puoi dubitare ancora che queste volino ognuna diversa dall’altra?); la nostalgia dell’elementare e del previtale in alcuni passi di Andrea Inglese (avrei voluto essere una parte semplice, un seme o una particella primordiale, un chiodo nel cosmo, impenetrabile e duro, una cosa elementare); il nesso tra parola e silenzio in Elisa Biagini, per quel che si può desumere dal suo esiguo contributo (corde allentate/ e la freccia non/ parte, la voce/ resta in sé,/ la punta di/ parola.); il rapporto della parola poetica e di colui che se ne fa carico con il destino individuale e il Tutto nel poemetto di Vincenzo Frungillo ispirato alla fine di Lucrezio (io non voglio la fine d’Empedocle,/ ma la vita degna d’Iperione./ Perché la regola è una,/ ed unica la fonte/ guarda, Memmio,/ il sole.). Vorrei terminare queste brevi note soffermandomi proprio su due versi di Frungillo: “Finire non è uscire dalla vita/ ma restare per sempre nella sua scena madre” ; il “per sempre” in rapporto al finire, alla morte è qui il modo in cui noi contemporanei cerchiamo di riaccostarci, per rispondere all’angoscia del nulla che ci stringe la gola, all’origine del pensiero greco di cui noi siamo lontani, ma non troppo, discendenti. In altri termini la questione di fondo è se il finire è l’annullamento radicale o è un permanere nell’essere. Rispondere a questa domanda, essenziale sia per il filosofo che pensa l’essere sia per il poeta che dice il sacro, per riprendere l’espressione heideggeriana, sia per l’uomo di tutti i giorni che anche il filosofo e il poeta sono, è ciò che ci accomuna a Lucrezio, ad Epicuro, a Democrito e risalendo ancora più su a Parmenide, Eraclito (non a caso citato in un verso della Leone) e Anassimandro, fino alla porta che apre i sentieri del giorno e della notte e che ha aperto e tutt’ora apre i sentieri del nostro destino, ossia l’origine della natura e il suo incessante manifestarsi. Nam cum suspicimus magni caelestia mundi/ templa super stellisque micantibus aethera fixum,/ et venit in mentem solis luna eque viarum,/tunc aliis oppressa malis in pectora cura/ illa quoque expergefactum caput erigere infit. De rerum natura. 1204 – 1208, libro V .

Francesco Filia


sabato 5 novembre 2011

La fisica delle cose



La Feltrinelli
Napoli, via san Tommaso d’Aquino 70/76
Mercoledì 9 novembre ore 18.00

Daniele Claudi e Gabriele Frasca

La fisica delle cose. Dieci riscritture da Lucrezio
a cura di Giancarlo Alfano(Perrone editore, collana Innumeri)

Letture di Sara Davidovics, Vincenzo Frungillo,
Letizia Leone, Giovanna Marmo e Giulio Marzaioli