sabato 11 aprile 2009

Pubblicato poema di Frungillo sulla DDR


Cosa si può immaginare di più inattuale, oggi, di un poema epico in ottave? Basterebbe questo a indicare in Ogni cinque bracciate, work in progress iniziato nel 2002 e concluso nel 2007, la più rara delle aves in un panorama poetico, come il nostro degli ultimi decenni, contrassegnato per lo più da gabbie strenuamente chiuse, finissimi lavori di cesello, fenomenologie microscopiche. Eppure nella generazione di Frungillo – magari guardando a esempi ormai remoti come quelli del Pagliarani della Ragazza Carla e della Ballata di Rudi – significativamente si assiste a un rinnovato anelito a raccontare storie, anche in poesia, che una buona volta superino lo spazio ristretto della soffocante «cameretta» lirica.
Le buone intenzioni, naturalmente, non bastano. Il colpo di genio di Frungillo è stato quello di cogliere – nella vicenda delle nuotatrici della Repubblica Democratica Tedesca, amazzoni per l’appunto «mitiche» negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso – la chiave d’accesso a una dimensione, oltre che epica, allegorica e mitopoietica. Come dice un indubbio ispiratore di questo immaginario quale Milo De Angelis, si realizza in Ogni cinque bracciate il miracolo di un «sempre» (il fascinum della giovinezza, dell’agone, dell’eterno splendore della carne) che si sposa con una dimensione «storica»: precisa quanto dolorosa. Quello di Renate, Karla, Lampe e Ute – corpo dopato prima glorioso poi in macerie – è il corpo dell’utopia socialista e, più in generale, di una modernità che ha preteso di spingersi, in tutti i sensi, oltre i propri limiti.
Frungillo s’è imbattuto in questa storia studiando filosofia in Germania. Più avanti ne ha trovato inquietanti addentellati documentari: le fotografie in appendice, di frammentaria qualità, sono state infatti da lui reperite negli archivi della Stasi, la polizia segreta della DDR: a dimostrare come le gloriose nuotatrici fossero, durante i loro interminabili allenamenti, occhiutamente controllate. Proprio come nelle Vite degli altri, il fortunato film di Florian Henckel von Donnersmarck, c’è in questa storia anche un «agente doppio»: l’inquietante dottor Starkino che canta le magnifiche sorti e progressive dei corpi da record. La sua retorica ci turba perché, pur riconoscendola ripugnante, non possiamo non risentirvi gli accenti irresistibili degli epinici antichi, delle odi pindariche. L’inganno della parola e quello della storia sono lo stesso inganno.

Andrea Cortellessa
(quarta di copertina di Ogni cinque bracciate, Le Lettere, collana Fuori Formato, prefazione Elio Pagliarani, postfazione Milo De Angelis)

2 commenti:

cara polvere ha detto...

i miei complimenti.
paola lovisolo (Viadellebelledonne)

Frungillo ha detto...

grazie