sabato 23 ottobre 2010

Parole in circuito


Fresca di stampa la nuova Antologia dell’Editrice Fermenti di Roma, dal titolo “Parole in circuito” (sottotitolo “Fatti non parole”).
Si tratta di un volume antologico che raccoglie le voci poetiche di dieci noti poeti, appartenenti a diverse generazioni: Domenico Cipriano, Stelvio Di Spigno, Francesco Filia, Antonio Fiori, Lucetta Frisa, Anton Pasterius, Raffaele Piazza, Raffaele Urraro, Giuseppe Vetromile e Giuseppe Vigilante.
Gli autori che in questa sede sono stati selezionati – precisa Raffaele Piazza, curatore dell’antologia, – presentano poetiche tra loro molto eterogenee. Ci troviamo infatti di fronte ad un campione di significativi versificatori che, sviluppando vari discorsi, avendo stili completamente diversi l’uno dall’altro, raggiungono tutti esiti alti.
Ciascun autore è introdotto con una breve ma approfondita analisi della sua poetica e, oltre a un’ampia selezione di testi, è presente una esauriente nota bio–bibliografica che aiuta a meglio individuare il percorso di ogni autore.
E’ senz’altro un volume che offre ampi spunti di riflessione sui alcuni interessanti percorsi poetici attuali, bene indicati nell’ottima introduzione del curatore, il poeta Raffaele Piazza.

"Parole in circuito" (Fatti non parole), Antologia Nuovi Fermenti nr. 4, Fermenti Editrice, Roma, 2010. Pagg. 150, Euro 18.00

1 commento:

Giovanni ha detto...

In Domenico Cipriano il riferimento a un luogo o a un tempo – sia esso reale o mentale poco importa - non -è soltanto istinto di appartenenza. Paese e paesaggio si ricongiungono in una dimensione onirica, quasi metafisica. Ogni viaggio è a tutti gli effetti un’acquisizione culturale. Ora invenzione individuale, ora rappresentazione collettiva, il dualismo paese-paesaggio viene alla luce anche per privazione o per spostamento. Natura e cultura, immanenza e trascendenza, soggetto e oggetto si alternano e si scambiano di posto ad ogni occasione, i ruoli si invertono ad ogni ritorno (Mi volto sulla vallata/e divento feritoia/su S. Paolo del Brasile/col mondo sopra i miei occhi/e io sopra ogni pensiero). Lo spazio animato negli anni per Stelvio di Spigno è il teatro di un mondo senza nome o con più volti. Si sta in bilico tra dentro e fuori, tra inferno e paradiso, nell’attesa che qualcuno ci chiami, nell’ansia di non saper riconoscere. E anche per Francesco Filia il rapporto con la natura, con l’altro dentro e fuori di noi, è sempre filtrato da un vetro, da una pelle. C’è sempre un confine, anche invisibile, un orizzonte che è un invito e un limite. Come un muro traslucido – per citare il titolo del poemetto qui presentato - che insieme ci avvince/e ci tiene a distanza. E allora quasi basta una fessura, una ferita appena. Degli autori che hanno partecipato a questo lavoro collettivo, Antonio Fiori è forse il più classicheggiante. Quasi ossessionato dalla ricerca di un’impossibile simmetria, dal godimento di un’armonia che a ben vedere può solo essere raggiunta per rinunce, per divisioni successive, come in Semi (Sto scoprendo d’amare/la metà delle cose//-i semidei della mitologia/fatti persona dalla divisione//-i semiversi dove/ritrovo il tutto nella parte//-gli emisferi del mondo/in infinite mappe//e poi l’amore umano//-la mezza mela/quella di Platone). Se Lucetta Frisa rielabora i temi dell’infanzia e dell’eros, della follia e della memoria, del sogno e della morte, ricorrendo a soluzioni di icastica violenza (Vedi, io vivo con un coltello/ dentro lo stomaco), Anton Pasterius ambisce invece ad una leggerezza, una chiarezza seppur precaria, incerta e provvisoria. Per questo si nutre di luoghi comuni, li rovescia sullo sfondo di una pacata - e a suo modo trasgressiva – quotidianità che è tutt’altro che rassicurante (A piccoli passi timidi/inseguo/calmo e prudente/la felicità). Quando Raffaele Piazza ci invita a seguirlo in un viaggio iperbolico tra conscio e inconscio, chiama il lettore ad interagire col testo per tentare la ricostruzione di una storia di cui rimangono frammenti sparsi, indizi inattendibili, desideri e paure, ricordi di cui non possiamo fidarci (una penna e un foglio/per disporre il mosaico del campo//nelle mie coordinate corpo-mente,/per spogliare lei e giocare). Tratti, squarci, pezzi di un puzzle. Tanti autori, tanti modi di scrivere e concepire la scrittura. Se Raffaele Urraro sceglie uno stile piano (ti cercavo nelle vie della mente/dove un pensiero può nascere o morire/o nei flussi del cuore che s’accorda/sempre con le sue disarmonie), Giuseppe Vetromile predilige versi più lunghi e vagamente metaforici (Dimentica, anima mia, il solito giro della spesa). Con una versificazione limpida, fluida, a volte luminosa, Giuseppe Vigilante chiude questa antologia (Posso inseguire l’innocenza? Fermare lo sguardo, fermare la parola).