sabato 26 gennaio 2013

Forcipe di Massimiliano Bossini

(Il testo Forcipe di Massimiliano Bossini è stato pubblicato nel 2008 dalla casa editrice Il Filo. Qui di seguito una breve nota e alcune poesie).

I versi di Bossini sono un insieme di cruda, epifanica, disperazione e di controllo e-statico della parola (penso a G. Benn). Le due cose si tengono insieme e riescono a riprodurre lo spasimo, la "serpe" che "contorce" il suolo, e il senso stesso della fessura che anima ogni particella della nostra natura. Se la poesia deve essere memoria, lo deve essere delle cose prime, delle cose che restano a dispetto di ciò che passa. -Avessimo memoria di ciò che resta sarebbe tanto-. Così la raccolta di Bossini coglie la parola nel momento in cui viene al mondo, ancora sporca di "sangue" e "plasma". Questi versi che spiano la vita, ci danno indizi di una biografia. Sono soprattutto la fissazione di una parto doloroso, nascono con il forcipe appunto, e sembrano dilatare quest'immagine di tessuti molli che si allungano come per restare, all'origine: "vene", "polla", "breccia", "carne", sono i termini maggiormente evocati. Le vene che possono allungarsi per allacciarsi alle radici dei faggi, le vene che possono intossicarsi e ricordare ad una madre che la natura non sarà mai niente di naturale, che "se davvero fosse vera/la verità/non mi troverei la vena/in cui trasfonderla/ o un solco arato/ nello spirito". La natura lasciata a se stessa è mostruosa, ha bisogno della nostra insana presenza per essere dimora; il negativo della nostra specie compensa l'estraneità del vegetale. La natura, la madre originaria, che ci lega a lei solo con secrezioni organiche, tracce. Questi segnali anche a seguirli non conducono a nessun centro. Allora si spera che "il sapore/del fiore di ferro/ sulla punta della lingua" possa benedirsi in parola: "faccio/la mia danza della pioggia/pioggia sul verbo/inaridire -". Questo paradosso lo troviamo anche nelle fantastiche Pastorali di Cesarano, nei suoi versi come in quelli di pochi altri. Ma a tratti nella poesia di Bossini si sente anche la forza dell'invocazione di Eros Alesi, una forza sincera che è sempre più rara in poesia.
(Vincenzo Frungillo)




aspettando quel prodigio
che sa risorgere in brace
dall'infermo gorgo meccanico
distinguendo all'istante
metallo e plastica
da carne e ossa,
rabbiosi pensiamo a cose come fiori
o banconote a mazzi
e ripiegati dentro alle macchine
sfioriamo ciò che era la piccola breccia
che portavamo sul cranio
da fanciulli





acido ai miei giorni
il mattino
si dibatte in pugni molli
col suo chiarore
di fulmine soffermato
sul tetto
sospeso sul teschio
inesploso
tossisco nel cuscino
il cobalto respirato






bada mamma
che se non sarà mai pace
io mi sfilerò le vene dalle narici
per allacciarmici le scarpe –
legarci le caviglie alle radici dei faggi
e ascoltare ascoltare per niente
filacce di linfa spezzarsi
e colare dal mento
viaggio da fermo
un luogo di terra
una forma di carne
trapassare
la stagione
che viene






come attraverso un prisma
non luce ma fine
mi si compone dentro

e flagello staffile siringa e blu che
scompare lento traspare l'aldilà dal
torpore mentale il corpo
un solido immerso nell'acqua
di stagno sogno randagio macilente
conficcato nel risveglio come supplica

a terra - come la falciata serpe contorce -
io do segnale ai simili
linguaggio ultimo
lezione preziosa
poi mistero, realtà
alba per dio!






io non chiedo
né voglio verità
semmai sole e nuvola
e poi pioggia -

se davvero fosse vera
la verità
non mi troverei la vena
in cui trasfonderla
o un solco arato
nello spirito -

prego per il sapore
del fiore di ferro
sulla punta della lingua
e faccio
la mia danza della pioggia

pioggia sul verbo
inaridire -

4 commenti:

Anonimo ha detto...
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Frungillo ha detto...

Grazie Gabriele.

Anonimo ha detto...
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Anonimo ha detto...
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