giovedì 16 maggio 2013

E fragile è lo stallo in riva al tempo - Daniele Ventre



Daniele Ventre - poeta, traduttore e critico - nel suo libro d’esordio E fragile è lo stallo in riva al tempo - Edizioni D’if 2012; vincitore della VI edizione de I Misiotìs - Premio Russo Mazzacurati  -  esprime già nel titolo l’aspetto centrale della sua poesia, che è il manifestarsi di una profonda contraddizione nel cuore dell’esistenza e della parola stessa.
La poesia di Ventre nasce da una radicale istanza etica, legata indissolubilmente ad una profonda esigenza di ordine metrico, che in questo testo si esprime nell’utilizzo delle pentapodie giambiche, esse stesse indicanti il battito inarrestabile del tempo della vita. Nel libro di Ventre è presente l’idea greca del limite come giustezza e come giustizia. E’ il limite della vita e del verso, che qui si intrecciano, a dare forma all’esistenza e alla parola. Ciò che costringe alla sua necessità, il limite che il destino ci impone, ci dà la possibilità di essere liberi. Solo accettando le regole del destino e della parola, si può sperare di dire qualcosa di veramente significativo sull’uomo e sul mondo, quest’ultimo inteso nell’accezione greca di cosmo di per sé ordinato. Questo gioco necessario e serissimo con la parola e con il fato, si evince sin dai versi in epigrafe tratti da A game of chess da The waste land di T.S, Eliot, che introducono il lettore  alla partita a scacchi che si svolge per tutto il corso delle trenta poesia. Partita a scacchi che è colta in una fase di stallo, in cui i due avversari, l’io e il destino (la morte), si studiano e si osservano si riconoscono l’uno nell’altro, a tal fine si noti l’uso frequente dell’immagine nello specchio (Ma l’avversario offerto nello specchio/ dei giorni consumati nell’attesa/ sorride per l’effimero bisbiglio). E questo stallo è tanto più inquietante in quanto su di esso incombe la dissolvenza del nulla che prosciuga tutto, prima che la partita sia terminata, annichila il rifiuto stesso che dà origine a ogni esistenza (La carne offesa ai brividi del nulla,/ le mie parole tendo come panni/ sdruciti sulle membra delle notti). Il tempo è un fiume inarrestabile  e la riva del titolo non è una riva di salvezza da cui contemplare lo scampato pericolo, come ad esempio in Dante, ma è il simbolo della fragilità dell’esistenza che non accetta il fiume (eracliteo) del tempo, del divenire che porta con sé ogni cosa. La riva è il simbolo dell’esistenza che si illude di potersi sottrarre al tempo che travolge ogni cosa, ma in quest’illusione resta giocata, vinta essa stessa. L’esistenza intuita come durata che scorre inarrestabile, è resa in termini linguistici con versi che letteralmente scivolano l’uno nell’altro, attraverso l’uso dell’enjambement, di parole allitteranti e l’uso di un metro definito che scandisce lo scorrere dei versi che danno, appunto, la sensazione di un flusso continuo e incalzante (Ma non dovresti più stupirti adesso,/ se una menzogna di cangianti squame/ rifrange la rugiada nei bagliori/ d’un’alba ingannatrice, se nel fiore/ di cento gemme si nasconde il buio:), che solo di tanto in tanto trova un momentaneo rallentamento in alcuni a capo e nel punto che chiude ogni frammento. Ma a ben guardare, la stasi del verso è essa stessa illusoria, perché la voce della poesia riprende a fluire senza tregua in uno scorrere che però non si disperde, non divora sé stesso, a differenza del tempo, ma trattenendo un senso, anche se transitorio, si mostra nella sua intima e fugace bellezza, in un balenio inafferrabile (Sul limite del mare un’onda è forma/ al fluido dipanarsi delle vite./ Si sfrangiano i cristalli nel brillio/ scomposto ai grani della rena fine). È in questa contraddizione ineliminabile tra precipitare dell’esistenza nell’insormontabile morte e lo stallo, paralisi annichilita in attesa della mossa finale, in cui essa cade, che si manifesta la fragilità, riscattata solo da un barlume di bellezza, della condizione del poeta e dell’umanità che in queste pagine prende voce (La semplice ragione del rifiuto/ è origine dei giorni. E tu rispondi,/ nell’anima vogliosa d’assoluto/ rispondi, con l’abbraccio della piena/ che annichila le rive nel suo gorgo./ Ma il calcolo reprime in quiete leggi/ l’effimera stagione: appena resta/ nel morbido covare delle ceneri/ la nostalgia dei rapidi calori).

Francesco Filia

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