sabato 12 aprile 2008

Urla dal pozzo

Credo che ci siano due grandi metafore che oggi dicono il Paese: l'immondizia e l'infanzia negata. Credo anche che più della prima sia la seconda la vera metafora dei tempi. L'infante è il nuovo venuto, letteralmente. L'incapacità di curare gl'infanti è la stessa incapacità di rapportrsi ai fenomeni originari. Basta pensare come ogni fatto di cronaca riguardante i bambini (in Italia ne abbiamo visti molti) rientrino subito nella retorica giudiziaria. Anche i genitori chiamati in causa sono subito lì a difendersi con parole d'avvocato. Subito la retorica adottata è quella dell'accussa e della difesa. Come se l'epifenomeno venisse immediatamente rimosso. Si dimentica la vittima, il bambino; la parola originaria scompare sullo sfondo. Non è un caso che per la morte dei bambini non si trovi un colpevole. Ciò non avviene per limiti della giustizia ma per la mancanza di colpa nei confronti del delitto commesso. Al posto del sangue, al posto della colpa, si risentono parole imbalsamate, vecchi topoi che tanto assomigliano ad un blocco della crescita. L'infante è un uomo in potenza. No, però nel senso "che diventerà un uomo, da grande"; nel senso che nella sua formazione si mette in gioco l'uomo in quanto tale. Nel rapporto di cura verso il bambino, questo principio vale sia per l'infante che per l'adulto. L'uomo è sempre in potenza, e il rapporto con il suo bambino è il rapporto con la parola nella sua fase epifanica. La cura del bambino vale come cura della propria matrice esposta, rinnovabile. Il bambino è quindi incognita e potenza originaria. L'uomo non è tale in quanto adulto, è tale in quanto relazione esposta con la sua immagine originaria. Credere, come oggi avviene, che il bambino sia un risultato di vecchi schemi pedagogici o di vecchie retoriche (di difesa e di accusa) significa fraintedere la vera natura dell'uomo. L'uomo non è solo natura, e non lo sarà mai; l'uomo deve applicare di continuo nuove strategie di sopravvivenza. Questo è il senso orginario della "cultura", questa è la sua natura simbolica. Non accuparsi del nuovo che arriva significa dimenticare la propria natura di esseri "arrischianti". La parola non è mero segno, non è mero suono, la parola è sempre uno spazio da cui è possibile ascoltare; nell'ascolto c'è anche il rischio estremo del silenzio e del mutismo.
Li sentiamo i bambini di Gravina, che piangono dal pozzo?

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